Le vostre storie

 

Dall'altra parte della strada di Enza Ragusa

La prima volta che lo vidi non avrei saputo che età attribuirgli, così come capita quando l'aspetto di un individuo non rientra nei canoni in base ai quali siamo in grado di classificare un estraneo in due o tre battiti di ciglia.
Un estraneo certamente lo era, e questo aumentò la mia ansia quando lo vidi dirigersi verso la parte più folta del vecchio orto abbandonato, dall'altra parte della strada. Sapevo, per avere sentito e spiato i movimenti del gruppo dei randagi, che una nuova cucciolata era stata accolta là, in una qualche buca sotto il rampicante, ed era sorvegliata a vista alternativamente dai tre maschi del branco.

Un randagio anche lui, l'uomo aveva un modo di guardarsi

indietro ogni tanto che dava ai suoi movimenti un che di furtivo; il passo era spedito, come di chi sa dove sta dirigendosi. Da una estremità del bastone che poggiava sulla sua spalla, pendeva una busta di plastica, ma non si sarebbe detto che, per il fatto di assolvere una funzione così ovviamente innocente, il bastone non avrebbe potuto servire qualunque altro scopo meno pietoso. Come per esempio cacciare la cagnetta marrone che in quel momento armeggiava intorno alla buca dei suoi piccoli.
Il fatto che non ci fosse un motivo apparente per cui avrebbe dovuto picchiarla non mi tranquillizzava affatto: la cattiveria fa bene a meno di una ragione per scatenarsi, e la cagnetta marrone era sempre stata troppo occupata con le sue eterne cucciolate per sviluppare altra forma di difesa che non fosse quella di abbassare testa e orecchie e tenere gli occhi sgranati su chiunque le si avvicinasse, prima di scappare via.

La vedevo a tratti, troppo fitto il cespuglio e troppo indefinito il suo colore contro quello della sterpaglia per non confondersi con essa, ma vedevo chiaramente l'uomo avanzare verso di lei. Non c'era tempo per impedire qualunque cosa incombesse in quel tiepido pomeriggio, non c'era modo di distogliere lo sguardo: qualunque cosa stesse per accadere sarebbe accaduto comunque, così come avviene la maggior parte delle volte, senza che nessuno se ne accorga neanche.
Giunto all'altezza di un grande sasso l'uomo si fermò e vi si sedette sopra, a poca distanza dalla siepe, dopo aver riposto tutto intorno le sue variopinte cianfrusaglie che a tratti ne avevano reso traballante l'andatura: buste, stracci, un ombrello rotto, un vecchio secchio di plastica scolorita. Mi dava le spalle, così che l'unica cosa che riuscii a vedere fu il suo braccio sollevarsi e descrivere un arco tra la sua testa e le sue gambe piegate, e ancora e ancora, come se stesse ripetutamente colpendo qualcosa che teneva sulle ginocchia, ma come, cosa? la cagnetta, i cuccioli? Come poteva aver scelto quel luogo, quel momento per infierire su chi era più indifeso di lui e non altrettanto capace di cattiveria? Eppure, non era la stessa parte del mondo quella che dividevano, quella che nessuno reclama, quella che a tutti fa un po' paura?

L'ultimo movimento del braccio terminò più in basso degli altri, come se la sua mano avesse toccato terra. Poi l'uomo reclinò la testa fino a poggiare la guancia sulla spalla e cominciò a ruotare il busto da una parte e dall'altra, con il movimento ritmico di una mamma che culla il suo bimbo. Quasi contemporaneamente, accanto a lui, macchie nere, bianche e marrone iniziarono una danza confusa e scomposta ma gioiosa: musetti, zampette, code impazzite reclamavano per sé un po' dell'attenzione dell'uomo, un po' di posto nel suo abbraccio, qualcuno dei suoi baci.
Non so ancora che età l'uomo abbia, né se il basso riparo di legno marcio e fogli di plastica grigiastra che ha messo insieme sia rifugio solo per i cani o anche per sé, ma so come passa parte del suo tempo: ogni giorno i cani del branco accolgono con movimentate effusioni il suo arrivo e quello delle sue buste magiche chissà dove riempite; lo seguono nella sua visita a piccoli sempre nuovi, si contendono i suoi abbracci e le sue carezze e aspettano pazientemente che si compia puntuale il miracolo di un pasto meno sofferto degli altri. Poi si accucciano a poca distanza da lui finché lui non raccoglie di nuovo le sue cento cose e si avvia verso l'altra estremità dell'orto: allora si alzano e lo scortano fino al cancello sgangherato e lì si fermano, per guardarlo allontanarsi e strappargli con gli occhi la promessa di un ritorno.

 

 

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