Le vostre storie
Olivermax di Romi
Quand'ero piccolo, ogni tanto sentivo dire: "Ha un mese. Lui è maschietto, quella è la sorellina". La voce era della padrona del negozio in cui ero in vendita, la sorellina non era mia sorella e neanche mia parente, c'eravamo incontrati lì. Lei era bianca e nera, io tutto marrone. Talvolta la padrona diceva anche: "I genitori sono stupendi. Il |
padre è un esemplare purissimo, la madre una campionessa italiana". Mio padre non l'ho mai conosciuto e non so di cosa fosse campionessa mia madre, e se davvero lo era. Lei me la ricordo ancora bene. Era bellissima e dolcissima, per ognuno di noi aveva una parola, una carezza, un bacino sul tartufo e lasciava, con pazienza, che giocassimo con la sua coda e le sue orecchie. La nostra separazione avvenne così velocemente che non mi resi conto di quel che stava accadendo. Un giorno venne il padrone di noi tutti e portò via la mamma. Lei era contenta, scodinzolava ed io non fui nemmeno sfiorato dal dubbio che la mamma potesse non tornare più. Ero troppo piccolo, per me la vita era solo un bel gioco, non sapevo che esistessero anche le cose brutte.
La mamma non tornò e, dopo qualche ora, io e i miei cinque fratelli e sorelle iniziammo a guaire sconsolati. Fu allora che il padrone ci prese tutti e ci portò in auto per la città. Ad ogni fermata, prendeva uno di noi, scendeva e tornava a mani vuote. Fui lasciato in un negozio di una via elegante. Un uomo e una donna mi guardarono dentro le orecchie e le fauci, mi palparono il pancino e la codina e poi diedero dei soldi al mio padrone, che mi elargì una pacca sulla testa e mi strizzò un occhio.
I nuovi padroni mi rinchiusero in una gabbia dove c'era mia sorella. Mi misi a piangere, lei venne ad annusarmi e, con aria da saputella, mi disse: "Non fare così. Sei un bell'esemplare, starai qui poco". Non so se quello che stava dicendo avesse un senso però propio non ce la facevo a frenarmi. Furono i vicini a consolarmi.
Un pappagallo, che parlava con uno strano accento, scosse la testa con disappunto e sentenziò: "E' troppo piccirille, certi umani so' fetenti scurnacchiate a togliergli cussi piccini alla famiglia. Uè, guagliò, mo' te faccio na' canzuncella doce doce che t'adduorme tranquille tranquille". E si mise a fischiare e, mentre lui fischiava, un cane, un coniglio e due gatte, che stavano in gabbie limitrofe alla mia, si avvicinarono il più possibile a me per rassicurarmi. Una gatta riuscì a far passare la sua codona tra le sbarre, io, istintivamente, l'afferrai stretta e, sfinito e spaventato, mi addormentai.
fine del primo episodio